giovedì 24 febbraio 2011

Il punto di rottura dello scotch


Una volta, quando un bambino nasceva, era una festa: tutti, parenti e amici, si precipitavano a vederlo. Si partiva subito per andare in ospedale, con l'entusiasmo e i fiori, rose od orchidee, con i "biscotti della puerpera" ricetta dell'Artusi, e finalmente conoscevi il fratello della zia, quello di Savona. A te, mamma, arrivavano quindici camicini della fortuna da far indossare - contemporaneamente tutti - al tuo bambino come primo indumento del primo giorno di vita. Poi si prendeva d'assalto la casa, nei giorni immediatamente successivi: c'era un gran via vai ed un gran scartare di regali. Quando nacque la nostra Elena, mia madre ed io rovesciammo addosso alla zia un sacco pieno zeppo di copertine, scarpine, lenzuola, che lungo tutti quei mesi avevamo ricamato con tanto amore.
Poi sopraggiunse il pragmatismo. Al posto di questo turbine di trascinante felicità, venne il razionalismo dei corsi preparto in cui ostetriche senza cuore istruivano le madri al metodo Juin (60 ore di formazione per insegnarti che il bambino si addormenta lo stesso se lo lasci piangere nel letto finchè si sfinisce) ed i padri alla protezione delle madri... Avvalendosi dello spauracchio dello stress post partum (tre parole che solo le Ostetriche sapevano pronunciare di fila, cosa che le rendeva ancora più credibili) ed inneggiando alla libertà personale e al libero disporre dei propri spazi personali, esercitarono i genitori come samurai all'esercizio dell'allontanamento delle orde barbare degli amici in pellegrinaggio, insegnando loro l'arte della cortese evasività. Divenne così sempre più difficile superare la barriera telefonica, poichè questi padri e queste madri furono iniziati ai segreti dello scudo verbale, e difesero la loro prole proprio come un cucciolo dai nemici, e non si abbandonarono mai più al dolce suono delle parole "ma allora, quando venite a vederlo(barra "vederLA")?!".
Un'amica, indottrinata da letture preparto, giunse persino a terrorizzarmi all'idea di prendere in collo suo figlio, dicendomi che "come una gatta selvatica, non avrebbe avuto piacere che altri lo tenessero, una volta nato". Penso di averlo preso in collo a circa sei mesi, di nascosto.
E fu così che, mentre i bambini di prima erano simpatici perchè accolti sulla scia di una spontanea, condivisa, seppur faticosa per i genitori, felicità, questi di oggi ce li fecero stare già sui coglioni appena nati.

2 commenti:

  1. Non a tutti piace questa roboante girandola di persone; io, per esempio, amo la quiete, i silenzi, preferisco i sussurri alle grida sguaiate. E non certo perché me lo abbia suggerito l'ostetrica al corso preparto (che poi, tra l'altro, le visite di amici e parenti semmai la allontanano la depressione post partum, certo non la fanno venire!).

    Ma non è solo una questione caratteriale, c'è anche un motivo più intimo: quando nella vita ti succede una cosa così grande e meravigliosa e sconvolgente, barcolli un poco sotto la spinta dell'enorme onda emozionale e hai bisogno di un momento per riprenderti, per ritrovare l'equilibrio. E se da un lato vorresti che il mondo intero potesse conoscere e condividere la tua gioia, dall'altro c'è un desiderio egoistico, se vuoi anche meschino, ma molto molto umano: per un istante vuoi tenere questo prezioso gioiello solo per te, vuoi che la sua luce brilli solo per i tuoi occhi, come una bellissima farfalla che tieni per un momento tra le mani prima di liberarla perché appartenga al mondo e perché tutti possano godere della sua bellezza.

    Non so se sono riuscito a spiegare per bene quello che volevo dirti, ma semmai riprenderemo il concetto durante la confusionaria mega-festa che isterizzerà vostro figlio (e di conseguenza voi!).

    PS: e non cercare scuse per non mettere il link al mio blog nel tuo blogroll!!

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  2. See... see... ne riparliamo tra qualche tempo, quando m'implorerai di tenertela perchè volete andare al cinema, e io ti dirò: "ma noooo...guardatela come una farfallina preziosa che hai appena catturaaaaato...!!!"

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