sabato 3 marzo 2012

Scotch carta passato

La belva dorme e penso che potrò almeno cominciare un nuovo post, per proseguirlo la prossima volta.

Ora con più obiettività posso pensare a quei giorni in ospedale.
E se rifletto, la cosa che più mi colpisce è che non ho mai avuto il terrore che avrei dovuto provare, e questo, se torno indietro col pensiero sui rischi che abbiamo corso, mi suona quasi innaturale. Mi direte: ti ho vista piangere. E' vero, oddio più frequentemente sbraitavo con le infermiere e inveivo contro chiunque, ma ho anche pianto, e posso dire sinceramente che quello era un pianto di pena, non di paura per un rischio concreto di raschiamento.
Capiamoci meglio: accanto a me c'è stata una donna, spagnola, che ha abortito. Ho vissuto tutto, il momento in cui l'hanno portata nel letto alla mia destra, il momento in cui mi ha raccontato che doveva togliere quello che era morto, il momento in cui l'hanno portata via per farlo, il momento in cui è tornata con la cuffietta verde ed il momento in cui mi ha detto che si sentiva uno schifo. Il momento in cui il frate - immancabilmente fuori luogo - le ha detto "bhè, ora è tutto superato", ed il momento in cui lei ha risposto con una domanda: "si supera mai qualcosa nella vita, padre?". Avevo un esempio concreto di cosa mi poteva aspettare, pronto a spaventarmi, eppure non era paura quello che provavo. Era un sentimento di dispiacere profondo, che forse serviva a schermare quello che avrebbe potuto verificarsi. Non avevo la consapevolezza di perdere quello che avevo dentro, questa sensazione era bloccata. Riaffiorava solo in un preciso momento: quando venivano a trovarmi i miei amici con la bambina. La guardavo e di fronte a me avevo la proiezione di come sarebbe potuta essere la mia famiglia, solo che la bambina nel mezzo poteva sparire da un momento all'altro. Era lì che si concretizzava il terrore, solo in quel momento divenivo consapevole della possibilità di perderla. Paradossalmente, era la vita a rendermene conscia, e non la morte che vedevo alla mia destra.
Mi sono vergognata molto di questa sensazione nei confronti della bambina, ma credo che tutto ciò sia normale, come era perfettamente normale che una famiglia venisse a trovarmi con una bambina piccola. Una famiglia che ci ha sempre anticipato di un paio di anni su quelli che sono stati i nostri scalini di maturazione. Credo di aver vissuto un vero e proprio transfert del mio nucleo familiare, dove il terzo elemento sarebbe potuto mancare, per noi, per una mia scelta, per un mio errore. Mi è stato detto "abbiamo pensato di non portare la bambina, quando ce ne siamo accorti". Io credo che portarla fosse perfettamente normale. Sarebbe stato un errore il contrario.
Ho chiesto alla signora spagnola "mi spiace che l'abbiano messa qui accanto a me, che ogni giorno faccio l'ecografia e vedo battere ancora il cuore di mio figlio". Ma lei, amorevolmente, mi ha risposto: "non è una cosa che mi fa star bene, ad essere sinceri. Ma mi ritengo abbastanza intelligente per dire che alla fine, so razionalizzare la cosa".

Ah, ce l'ho fatta in barba alla Sara!

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