venerdì 21 gennaio 2011

Scotch carta e boheme

E' sera e stavolta devo prendere l'autobus... oramai è davvero tardi, è buio da un pezzo, e quindi faccio tutto con calma. Ci metto pure un quarto d'ora in più, ogni tanto guardo il nero fuori dalla finestra... ma non sono in ansia. Anzi. Pregusto quasi quell'atmosfera bohemienne che circonda questi miei tragitti, quando capita. Mi fa sentire autonoma, capace di cavarmela... mi fa riprendere quello spazio tutto mio, in cui sguazzo come un'anguilla.
E dunque sono salita. Tutto vuoto. Nello stradone, l'autobus si ferma al capolinea ma non apre le porte. So che è perchè non c'è nessuno che deve scendere, nessuno che debba salire, e soprattutto perchè fa freddo... però mi percorre un brivido, sono sola, chiusa in gabbia con uno sconosciuto, in fondo: l'autista. Che se ne frega. Non dice nulla, chissà come sta quel poveraccio a quest'ora con questo gelo a fare la solita strada in tondo come un cretino. Ha pure i guanti, mi pare... immagine ambigua: maniaco... o ancora, povero diavolo con una psoriasi da lavoro. Mi tranquillizzo. La seconda mi pare più plausibile. Ripartiamo, mi perdo nel buio, nei vetri freddi, ricordo cose, faccio congetture. L'immagine riflessa di un passeggero - finalmente - con valigia al seguito, la cui testa è spezzata dalla distorsione del separatore di vetro o di plastica che sta tra me e l'autista. Fine della prima metà del viaggio: scendo.
Con me sta aspettando una ragazza piccolina, mora, capelli corti, cappellino di lana a macchie grigie... mi vien da chiedermi cosa ci fa, a quest'ora di sera, una ragazza sola, fuori... con questo freddo... poi penso che non è poi un grande atto di coraggio ormai, coi tempi che corrono, e quindi mi passa pure un pò di quella piacevole atmosfera bohemienne che mi ero creata non senza fatica. Ecco, tu fai una cosa, e una sconosciuta te la demolisce in un attimo.
L'attesa è lunga. Alla fine la ragazza si avvicina e mi chiede preoccupata: "Ma l'ultima corsa quando c'è?". Eh, le volevo dire, e mica mi puoi demolire le creazioni così, puf, comparendo d'un tratto... "Boh... non so... io non ho guardato gli orari... " rispondo con voluta trascuratezza... con aria da dura... avvolta nel mio cappuccio come un boia. E' più giovane di me. "E invece sei parte della mia creazione, guarda un pò..." penso, mentre mi avvicino al cartello degli orari col passo di Bogart. Le leggo il cartello, lei mi sorride. Scambiamo due battute... l'autobus passa subito, come fa sempre quando sei in compagnia di qualcuno alla fermata. E' una regola: se aspetti da solo al freddo, passeranno ore prima di vedere il grande mostro arancione.
Sale pure lei, noto che cerca con lo sguardo un posto doppio, mentre io, orientata ormai verso la mia serata solitaria, non avevo minimamente pensato di sedermici accanto. Però approvo. Occupiamo due sedie, una di fronte all'altra.
-Secondo lei nevicherà? Domanda d'altri tempi. Sorrido: - non mi dare del lei.- La ragazzina ricambia il sorriso, io rispondo che è difficile che succeda di nuovo quello che è successo il mese scorso... -non mi facevano uscire dal lavoro neanche dopo aver visto che nevicava forte - mi racconta, e io le chiedo che lavoro faccia: - call center - dice con quell'accento tra il milanese e il catanese che si sforza di parlare in italiano corretto. Tra e chiuse ed e aperte in modo esagerato, veramente non so attribuirle una provenienza. Inizio a immaginare che sia una di quelle ragazze che vengono a studiare al nord, poi cambiano pure città, trovano lavoretti... insomma, io come bohemienne perdo proprio dei punti, con lei: dall'accento sembra abbia girato mezza Italia!
Abbasso il cappuccio: mi spiega che a un certo punto manco i loro fissi prendevano più la linea, al lavoro. Ridiamo: "... ecco perchè poi hanno deciso di lasciarti andare... mica per te, perchè gli costavi e non lavoravi!". Ha un visino non bello, ma con degli occhietti intriganti, scuri, maliziosetti... un modo di parlare proprio curioso. Mi chiedo se riesca ad avere successo nelle chiamate che fa... mi pare anche un pò troppo facilona, per fare questo lavoro. Mi racconta cose semplici, tipo che ha distrutto le scarpe perchè dopo la tremenda nevicata ci ha passato dell'olio sopra, pasticciando lo scamosciato e modificandone il colore... mi interroga: le scarpe che indossa sono valide per superare un'altro evento simile? Le rispondo che anche quelle non devono essere lucidate con l'olio... ridacchia, la peperina... mi chiedo da prima come mai non si faccia pubblicità e non tenti di appiccicarmi un abbonamento. Poi mi chiedo se vende scarpe per telefono. Malfidata. Forse è solo che non vuol rovinare l'atmosfera maledetta con temi prosaici come le proposte di abbonamento alla rivista dei carabinieri.
E' più brava di me, a sostenere la parte. Mi dice che il giorno della nevicata ha camminato per quattordici chilometri, e che non aveva nessuno da avvertire. Nessuno da avvertire. Molto noire. M'ha surclassato. Alla grande: quando arrivo a destinazione, ancora rimane sull'autobus. Voglio parlarle fino all'ultimo: poi salto su e le dico: "beh... allora, ciao!", che davvero mi dispiace per quegli occhietti espressivi che mi strizzano un saluto, non so neanche come si chiama, ma è stata una presenza piacevole... chissà che storia aveva, da dove veniva. Dove doveva andare. Perchè non aveva nessuno da avvertire...

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