lunedì 11 luglio 2011

Roland Petit e lo scotch carta per appendere le scarpe al muro

Me lo sono sentito. Ho messo sullo sfondo delle immotivate punte di gesso, così, senza un apparente motivo. Coincidenze.

Vi avverto, questo capitolo è autobiografico, per cui noiosissimo. A vostro rischio e pericolo.



Ero piccola, quando iniziai. Fu il solito capriccio delle mamme, di quelli che ti rapiscono, a tua insaputa. Eppure mia madre non era affatto una romanticona, nè un'appassionata di balletto classico. Pensava che quello fosse un ottimo modo per formarmi, per donarmi dei movimenti aggraziati... e poi, andava di moda. Era un percorso obbligato. Le scuole, allora, pullulavano di allieve di ogni età, distribuite tra le sbarre allineate lungo tutte le pareti sfruttabili. Costava, anche allora, ed era un bel sacrificio. Ma era quel che si doveva fare, perchè così, allora, si faceva.
Io mi annoiavo. Ripetevo i movimenti stanca, assente, copiando le altre dall'altra parte del muro. Non parlavo con nessuna, facevo passare le ore, facevo ruotare le gambe sul parquet, come sgangherati compassi tenuti male in equilibrio. Cerchio dopo cerchio. Anno dopo anno. Complimento dopo complimento: "Guardate com'è buona lei, come sta composta, anzichè chiacchierare... è più piccola di voi!!!". Nessuno capiva che ero in realtà totalmente estranea a tutto, priva di ogni sentimento di partecipazione. Non so come non facessero ad accorgersi che la mia pancia era totalmente rilassata... evidentemente ero così magra da sopperire alla mancanza di sforzo.
Quando uscivo, mettevo tutto in fretta nella mia borsettina leggera a pois blu, tutto insieme. Ricordo ancora l'odore della lycra, e quello pungente della pelle di cui erano fatte le mezzepunte. Nessuna doccia, solo una fuga verso l'esterno, il compito era stato assolto... non c'era nessun motivo per cui dovessi fermarmi a parlare. Avevo quattro anni.
Nonostante il mio impegno minimo, migliorai. Forse per l'allenamento intenso, tre volte a settimana: imparai a coordinare i movimenti, e a mettere più forza nella punta del piede. Conoscevo le musiche a memoria, ma continuavo a sbadigliare. Arrivò il mio primo saggio importante al teatro Tenda, continuai a viverla in maniera poco partecipata: durante un'incursione in bagno, il mio tutù si impigliò malauguratamente in un chiodo che sporgeva dalle mattonelle, strappando tutt'intorno il tulle giallo limone, che frullò come una girandola. Non feci una piega: maestra, si vede? - no, per fortuna non si nota nulla - Allora io vado che tocca a me. Cinque anni e mezzo. A volte m'invidio quella impassibilità nell'affrontare le cose.

E il tempo passò molto velocemente, colore dopo colore del tutù, saggio dopo saggio, molto semplicemente, molto freddamente. Posso dire di aver ballato alla Pergola molte volte, ma non ci crederei neppure io. Ero diversa, allora, e tutto potevo affrontare senza problemi e senza lamentele. Finchè il fatto di essere la più piccola non iniziò a pesarmi: c'era ormai troppa differenza d'età tra me e chi frequentava i corsi, e la cosa non aiutava la mia naturale indisposizione verso i rapporti sociali. Una volta mi forzai con risultati disastrosi: mi sedetti nel cerchio formato dalle ragazze del mio corso, ormai sedicenni, che attendevano l'inizio della lezione, e tentai di inserirmi nella discussione. Si parlava di mestruazioni. Cosa di cui sapevo solo il nome, alla lontana. Tamara, la più pagliaccia del gruppo, iniziò a raccontare in tono comico quale fosse la portata del proprio flusso, poi s'inventò un gioco in cui chiedeva ad ognuna, in senso orario, l'entità del proprio. Quando arrivò il mio turno, ero ormai sudata e infuocata in viso, tanto da non accorgermi, quando l'imbarazzo mi portò a serrare le dita sul pollice agitando la manina... che ero stata saltata.
continua (per chi non si è addormentato...)

2 commenti:

  1. Non credevi che l'avrei letto fino in fondo, eh? Ora che so che sei stata un'etoile alla Pergola ti tratterò con il dovuto rispetto!

    PS: Chissà perché quelle che si chiamano Tamara sono sempre le più...ruspanti.

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  2. Pergola, Sashall, che credi? Mica la scala del piano di sotto.

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